Pance gonfie e panifici sgonfi. Mi domando: l’arte (del fare il pane) invertirà le parti? Le pance torneranno sgonfie e i panifici “gonfi” di clienti?
Sono dietista ma sono anche figlia di un panettiere vecchio stampo. Di quelli che al venerdì si entra al forno alle 21 e si esce all’ora del pranzo del sabato.
Per fare il pane buono, ci vuole tempo.
Gli impasti hanno bisogno di riposare prima e dopo la creazione delle forme. Quando il pane esce dal forno, al tocco, presenta un “suono”caratteristico. Se lievitazione e cottura sono in equilibrio, “il pane appena sfornato, canta”. Una procedura non ben eseguita porta ad un pane “sordo”, pesante come un mattone che “si abbassa” dopo poco, che diventa molle e/o gommoso e poco digeribile. Il pane ben fatto rimane “fresco” per almeno un paio di giorni. Non ci si accorge che è “pane del giorno prima”.
In questa mia duplice veste osservo due mondi che spesso non si incontrano o non si incontrano più. Da un lato vedo pazienti che riportano sempre più frequentemente intolleranze a lieviti e farine, dall’altra leggo che i panifici sono in crisi, e molti esercizi chiudono a causa degli alti costi di gestione e per concorrenza sleale di panetterie che producono pane con ingredienti di bassa qualità, a volte sottopagando i lavoratori che si improvvisano panificatori o che fanno di questo mestiere il loro secondo lavoro. Questo spesso è l’unico modo per “portare la pagnotta a casa”. Non voglio dare un giudizio ma leggere la realtà per quella che è.
Qualche tempo fa mio padre, attualmente in pensione, è stato chiamato per sostituire per una settimana un fornaio. Il titolare della panetteria esordisce così: “Qua il panificio è sempre vuoto, c’è crisi, non ce la facciamo più”. Mio padre dopo la prima notte di lavoro propone al titolare di porre in atto delle migliorie nella produzione del pane, a suo giudizio, di qualità scadente. In quello specifico caso, non venivano infatti rispettati i tempi di riposo degli impasti e venivano utilizzati “miglioratori”per accelerare la lievitazione. Dopo aver assaggiato il prodotto di quell’impasto, l’ho definito “sfarinato cotto al forno”, il pane è altra cosa. Il titolare della panetteria non ha accolto quest’opportunità di “fare il salto di qualità” e mio padre non è più tornato a lavorare da loro. Per cambiare, in meglio, ci vuole coraggio ed umiltà.
Personalmente non ho mai sofferto di intolleranze al lievito o alla farina ma mi rendo conto di aver sempre consumato pane ottimo e se mi capita di comprare della focaccia molle, oppure alta come un pane, o unta con olio scadente, sono buona a riportargliela indietro. A volte mi dimentico di leggere o richiedere la lista ingredienti della focaccia genovese. Che scocciatura dover essere diffidenti ma in effetti l’olio extra vergine di oliva viene usato da poche focaccerie e lo stesso discorso vale per la pizza (si veda la puntata di Report su questo argomento). La mia filosofia alimentare è la seguente:”poco ma di qualità”. Siamo in Italia, la patria del buon cibo, non possiamo scadere nella mediocrità. Non possiamo buttarci in pancia cibo economico e poi spendere una fortuna per rimetterci in salute.
Il mestiere del panettiere è un’arte ma al momento, nonostante sia un lavoro usurante, non gli viene attribuito il giusto valore e di conseguenza anche il prodotto finale risente di questa svalutazione professionale. Mi viene da dire che, forse, un modo per tornare ad avere “pance sgonfie e panifici gonfi” potrebbe essere quello di invertire questa tendenza alla bassa qualità. Già molte persone si autroproducono il pane. I panifici potrebbero decidere allora di creare dei prodotti eccellenti, di quelli che in casa non si riescono a fare perchè servirebbero tempo e competenze. Personalmente ora non riuscirei a dedicarmi all’accudimento del pane e del lievito madre per cui sarei molto felice di acquistare del pane “speciale”, magari con farine biologiche di grani antichi macinate in loco, o semplicemente sarebbe già un passo avanti tornare indietro. Tornare cioè a rispettare le ricette e i procedimenti di panificazione tradizionali.
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